Intervento AG TAR 2012

Società Sarda degli Avvocati Amministrativisti

 

Intervento del Presidente della Società Sarda degli Avvocati Amministrativisti in occasione della cerimonia di apertura dell’Anno Giudiziario del TAR Sardegna l’11 febbraio 2012.

 

                        La Società Sarda degli Avvocati Amministrativisti porge il suo deferente saluto all’Ecc.mo Primo Presidente del TAR Sardegna Dott. Aldo Ravalli, all’Ecc.mo Presidente della Seconda Sezione Dott. Franco Scano, agli Ecc.mi Consiglieri, al Segretario Generale, ed a tutto il personale al servizio del TAR Sardegna, e ringrazia per il rinnovato invito nella continuità di un rapporto, tra la Magistratura amministrativa e gli avvocati amministrativisti, da sempre improntato alla reciproca stima e collaborazione. Porge, altresì, il suo deferente saluto a tutte le Autorità, agli ospiti e agli avvocati presenti.

                        Oggi, nell’occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del TAR Sardegna per il 2012, in cui, con tanta sensibilità, vengono dall’Ecc.mo Presidente riservati ad essa spazio e voce, la nostra Associazione Sarda degli avvocati amministrativisti si unisce all’Ordine Nazionale Forense nella generale manifestazione di protesta per le non condivisibili misure legislative adottate dal Governo della Repubblica su delega del Parlamento, esprimendo la propria preoccupazione per le paventate negative conseguenze per la amministrazione della Giustizia, con l’inaccettabile svilimento del ruolo e della funzione dell’avvocato, fino ad ora ricondotta al fondante principio di “ordine pubblico” sancito della nostra Costituzione, in cui incontra un limite insuperabile perfino il dettato comunitario.

 

                        Il Capo del Governo Monti, in una recentissima intervista televisiva, riferendosi alle misure assunte a sostegno del “Mercato del lavoro”, per ridurre la disoccupazione, ha, tra l’altro, affermato la necessità e la ferma determinazione di “toccare gli interessi degli avvocati, gli interessi più potenti…”, definiti erroneamente interessi corporativi.

                        E’ d’uopo ribadire che l’ordine forense, così come gli altri ordini professionali di prestatori d’opera intellettuale e funzione civica, nulla ha mai avuto in comune con le corporazioni di Arti e mestieri (in Sardegna Gremi), sorte in Europa nel XII secolo, in Italia con il fiorire dei Comuni. La professione forense, nella millenaria concezione del nostro ordinamento giuridico, molto più antica delle corporazioni, è stata al contrario sempre caratterizzata dalla più ampia apertura ed improntata alla totale libertà di iniziativa -perciò definita libera-, interattiva con lo Stato e le sue istituzioni, incompatibile con l’esercizio congiunto di attività commerciali ed imprenditoriali, assoggettata dalla legge ad un Ordine affidatario, non della cura di privilegi di casta o corporazione, bensì del compito di assicurare al cittadino la miglior tutela ed assistenza nel perseguimento di un più alto fine pubblico.

 

                        La forzata assimilazione, quindi, alle chiuse e potenti corporazioni mercantili ed imprenditoriali del medioevo è strumentale a far credere, a chi vuol credere, che le misure di draconiana memoria nei confronti dell’ordine forense, e degli ordini professionali in genere, siano prioritarie, panacea di gravi mali addotti nella società civile da potenti centri di interesse, addirittura più potenti delle Società quotate in borsa, delle multinazionali e delle banche.

                       

                        E’ altresì strumentale a far credere che sia stato avviato un radicale processo di riforma, di rinnovamento e di ammodernamento, il quale non può essere tale, se non altro perché privo di gradualità, perché profondamente traumatico e lacerante del tessuto sociale, perché non supportato dall’azione di un Governo politico, dagli obiettivi ed ideali di una classe politica affidabile, dall’azione di indirizzo politico di un legislatore illuminato.

                        Tanto più lacerante e traumatico di fronte alla devastante confusione dei ruoli e poteri istituzionali: l’abdicazione del Parlamento (appiattito nel ruolo di mera ratifica ed espressione di fiducia al potere esecutivo), la cui primaria funzione legislativa è per lo più delegata al Governo; l’abdicazione del Governo, la cui funzione esecutiva è stata affidata ad un consesso di tecnici, peraltro, espressione di poteri forti sui quali è venuta meno ogni forma di controllo politico (il difetto di rappresentanza politica di un Governo, al di là delle contingenze che lo giustificano, non può essere considerato espressione della volontà popolare); l’abdicazione della magistratura, la cui funzione giudicante è demandata per buona parte a soggetti esterni ed estranei all’ordinamento giudiziario (organismi di mediazione e giudici di pace).

 

                        Si assiste perciò, impotenti, anche alla trasformazione radicale del ruolo storico dell’officium assolto fino ad ora dall’avvocato (nell’antica Roma non veniva neppure compensato in ragione della natura civica della funzione) per omologarlo a qualsiasi operatore economico ed imprenditore commerciale, prestatore di servizi nella logica del libero mercato e della concorrenza: è senza alcun dubbio finalizzato al raggiungimento di questo scopo l’aver previsto il possibile esercizio della professione forense in società con imprenditori e con società di capitali; parimenti l’aver incluso i “servizi legali” nell’allegato B) del Codice degli Appalti pubblici, l’aver esteso alla professione forense le disposizioni vigenti per le imprese e gli operatori commerciali sul pagamento delle prestazioni legali da parte degli Enti pubblici, svincolandole da rapporto fiduciario, con lo svilimento, quindi, della professione forense in duplice forma: ad attività produttiva di mercato e a serbatoio di lavoro per compensare la disoccupazione crescente, stante l’obiettiva incapacità del Governo di dare al paese un progetto di rinascita economico-sociale atto a favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, nonché colmare le gravi carenze di organico per rendere più efficiente l’azione della Pubblica Amministrazione in ogni sua articolazione.

 

                        Non si fraintenda, gli avvocati non sono “conservatori” di interessi corporativi e di poteri forti, ostili ai processi di riforma. Essi condividono l’esigenza di rendere moderno ed adeguato al nostro tempo l’esercizio della professione e la necessità di rinnovamento degli ordini forensi per garantire un’avvocatura sempre all’altezza del suo compito, meglio preparata, specializzata, con un accesso selettivo in base al merito ed alla concreta capacità e moralità: per questo processo di effettivo rinnovamento occorrono però misure diametralmente opposte a quelle adottate oggi dal Governo.

                        Del loro piccolo mondo antico gli avvocati intendono salvaguardare, con strenua difesa, soltanto il valore della propria dignità professionale, del proprio ruolo che deve necessariamente essere avulso da logiche imprenditoriali e di mercato, e che oggi viene travolto non dalla globale crisi dell’economia e dalla epocale trasformazione in atto, bensì dalle miopi misure del nostro Governo, che si traducono soprattutto nella menomazione dei diritti dei cittadini con particolare riguardo alla tutela giudiziaria.

                        Gli avvocati intendono, perciò, nell’esercizio della funzione civica loro affidata dalla storia e dalla società civile, rappresentare i cittadini il cui diritto alla tutela giudiziaria è stato gravemente menomato, non solo dal detrimento della figura del patrocinatore legale ma anche da altri interventi normativi finalizzati a ridurre drasticamente la domanda di giustizia, inficiati (come insegna il Giannini) da eccesso di potere legislativo.

                        Come tali, invero, debbono denunciarsi le leggi, che si traducono in “denegata giustizia”, quali quella con cui si è introdotto il costo esoso dei processi con l’abolizione di ogni forma di esenzione (di entità insostenibile in materia d’appalti nanti il Giudice amministrativo ed in materia d’impresa nanti le Sezioni specializzate del Tribunale ordinario), quella con cui si impone la procedura preventiva stragiudiziale di mediazione; la competenza funzionale esclusiva per materia riservata ad un unico TAR sul territorio nazionale, ed ancora quelle con cui si sono inserite nel Codice degli appalti pubblici (allegato B) le attività di volontariato svolte dalle ONLUS, la formazione professionale, i POR, i servizi legali, con conseguente applicazione del contributo unificato, a prescindere dal valore della causa, nella misura di € 4.000,00 (richiesto dalle segreterie dei TAR e del Consiglio di Stato) soggetto ad un moltiplicatore nell’ambito del medesimo ricorso; nonché le norme che hanno introdotto pesanti sanzioni a carico della parte soccombente per le azioni giudiziarie ritenute infondate.

                        Perfino il settore del mercato e dell’imprenditoria, trainante l’economia dell’intero Paese, viene oberato di particolari e più gravosi oneri fiscali connessi alla tutela giudiziaria: con il pesante balzello imposto in tema di appalti pubblici, tra ricorso, motivi aggiunti, ricorso incidentale e rischio di sanzione amministrativa, si giunge al paradosso inaccettabile di assicurare all’erario dello Stato l’incasso di decine di migliaia di euro anche in contenzioso di risibile valore; inoltre si intende scoraggiare i soggetti destinatari di essa nel precipuo obiettivo di ridurre la domanda di giustizia ed il carico giudiziario, rendendo intangibili i provvedimenti illegittimi e pregiudicando l’attuazione di un altro essenziale obiettivo, ossia la miglior efficienza e trasparenza della Pubblica Amministrazione.

 

                        Ingenera altrettanta grave preoccupazione la confusione dei ruoli e dei poteri riguardo al servizio della Giustizia.

                        Non si può, invero, ignorare che il progressivo vuoto lasciato dalla defezione dell’azione politica nel Governo e nel Parlamento viene colmato sempre di più dall’azione della Magistratura (l’unico dei tre poteri fondamentali dello Stato che ha conservato, se non aumentato, tutta la sua forza), la quale, straripando dall’alveo del suo potere, talvolta surroga quello dell’Esecutivo e perfino del Legislatore, originando pronunce contrastanti e difformi che aumentano la confusione ed il disorientamento a maggior detrimento dell’opera dell’avvocato e del diritto alla domanda di giustizia: a titolo di esempio taluni precedenti della Cassazione penale in tema di abuso d’ufficio, che assume nella fluttuante giurisprudenza sempre più nuove e variegate forme; del Consiglio di Stato in tema di gare per l’evidenza pubblica, il quale con rigoroso formalismo afferma la possibile sanatoria di irregolarità sostanziali, con conseguente intangibilità delle determinazioni della Pubblica Amministrazione, nonché in tema di anticipazione della decorrenza dei termini, che segna l’aumento dei casi di irricevibilità dei ricorsi, con restrittiva applicazione delle norme di recente introdotte in adeguamento alle decisioni comunitarie.

 

                        Eppur è vero, vi è del nuovo, ma trattasi di un nuovo ordine (o forse sarebbe più corretto chiamare disordine)  giuridico, seminato di “dissuasori” e “deterrenti” provenienti da più fonti, con l’espresso fine di ridurre la domanda di giustizia e, conseguentemente, ridurre il carico giudiziario attuando la brevità del processo, anziché intervenire con adeguate misure di controllo affinché l‘amministrazione della cosa pubblica sia più corretta, trasparente ed imparziale, più affidabile per il cittadino.

                        Forse, nella logica dei numeri, diminuiranno i ricorsi, i processi saranno più rapidi la giustizia sarà più efficiente, ma a quale prezzo! Il servizio della Giustizia, necessario alla stessa umana esistenza ed alla crescita di una società civile, non è più alla portata di tutti; è diventato elitario, fruibile soltanto dalle nuove privilegiate classi sociali di un regime plutocratico.

                        Del vecchio invece scompaiono la “certezza del diritto”, la “conforme e consolidata giurisprudenza”, la “autorevole dottrina”.

                        Ne sono chiaro sintomo il continuo divenire delle leggi, soggette a periodica e frequente modifica, perfino quelle che dovrebbero essere espressione del consolidamento di un ordinamento giuridico, quali le norme processuali e quelle regolanti i rapporti fondamentali di una società.

L’alea della causa aumenta e la fiducia nella Giustizia giusta diminuisce.

 

                        Non è  riforma ma controriforma.

 

                        Resta la speranza (spes ultima dea) del risorgere, con le nuove generazioni, di una nuova classe politica in grado di guidare questo Paese nel lungo cammino delle riforme, in grado di sostenere i cambiamenti epocali contemperando il progresso economico con la salvaguardia di uno Stato sociale, una nuova classe politica riscattata dalla piaga dell’endemico clientelismo, restituita al connaturato ruolo di servizio civile, che voglia perseguire gli ideali di una società senza privilegi e discriminazioni di sorta, nella quale ogni essere umano non debba mai sentirsi un suddito, un emarginato, un diverso, un oppresso.

 

                        Con l’augurio all’Ecc.mo Presidente della Prima Sezione, all’Ecc.mo Presidente della Seconda Sezione, agli Ecc.mi Consiglieri, al Segretario Generale ed a tutto il personale del TAR Sardegna di Buon lavoro per l’Anno Giudiziario 2012, gli avvocati presenti, in conformità alle determinazioni dell’Ordine Forense, per le ragioni espresse in questo autorevole consesso dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari, lasceranno quest’aula in simbolica espressione di dissenso nei confronti del Governo.

 

                                                                                                         (Il Presidente)

                                                                                                   (Avv. Silvana Congiu)

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